• Smile
  • Posts
  • L'inganno della società: perché ci sentiamo soli?

L'inganno della società: perché ci sentiamo soli?

Come il mondo moderno ci ha portato a perdere connessioni reali (e cosa fare)

Ti sei mai chiesto perché le persone si sentono sempre più sole, anche se siamo connessi 24 ore su 24?

Ieri sera ho avuto una piacevole conversazione con una donna straordinaria. Madre di quattro bambini. Divorziata due volte. Costretta a crescere i piccoli in solitudine. Uno dei figli ha avuto un problema alla nascita che ha portato a gravi danni cerebrali. Rimasta senza madre poco tempo fa, portata via da una malattia incurabile.

Discutevamo della società moderna. Dei condizionamenti esterni e delle problematiche più comuni in base alle nostre esperienze.

Ti avviso, sarò volutamente polemico. Tutto ciò che scriverò non vuole essere un attacco a nessuno bensì una possibilità di riflettere su aspetti della vita moderna che portano a soffrire la solitudine.

Al mio rientro dall’Asia ho avuto la sensazione di vivere in un mondo condizionato da problemi insormontabili. Ho percepito l’insoddisfazione del 90% delle persone con cui affrontavo un discorso. Ho percepito l’assenza totale di supporto reciproco. Il costante bisogno di parlare di situazioni negative, di giudicare gli altri. L’accettazione di una società ormai compromessa. La mancanza di fiducia nei propri mezzi. La rincorsa ad una felicità dettata da preconcetti imposti da cultura, religione, società e nucleo famigliare.

Discutendo con la donna che chiameremo Speranza, ho capito di non essere l’unico a percepire di vivere in una società che tende a dare valore a ciò che in realtà, toglie valore alla società stessa.

Speranza: “Non comprendo il limitarsi allo small talk. Dovrebbe introdurre a conversazioni più profonde ma oggi è tutto ciò che puoi ottenere dal 90% delle persone”

Per contestualizzare: lo “small talk” è una conversazione leggera e informale su argomenti generici, come il tempo, gli hobby o le ultime notizie, usata per rompere il ghiaccio e creare un’atmosfera rilassata tra le persone. Non serve per discutere temi profondi, ma per costruire connessioni sociali in modo spontaneo e naturale.

Immaginare di iniziare una conversazione con “cosa ne pensi della gestione delle emozioni per superare le situazioni negative?” fa sorridere.

È ovvio che non può portare al risultato sperato. Le persone necessitano una prima fase introduttiva, dove comprendere lo stato emotivo dell’altra persona, gli interessi e possibili appigli per poter costruire una comunicazione costruttiva senza mettere a disagio i protagonisti della conversazione stessa.

Oggi, però, lo “small talk” sembra essere diventato il limite della nostra comunicazione. Se viene oltrepassato diventa quasi una situazione di fastidio.

Ti è mai capitato di chiedere ad una persona “Come stai?” ed ottenere il classico “Tutto bene, grazie. Tu come stai?”.

Siamo diventati esperti nel parlare senza dire nulla. Abbiamo normalizzato il rispondere “tutto bene” anche quando tutto, dentro di noi, è a pezzi. Abbiamo paura di aprirci, perché crediamo che nessuno ascolti davvero. Il problema è che nessuno apre la strada per una vera conversazione.

Speranza: “Perché credi che le persone non rispondano con sincerità a questa domanda?”

Beh, credo che sia diventato un automatismo. Le persone non credono che una conversazione di questo genere possa portare ad un beneficio comune. Non trovano interesse nella possibile risposta.

Ma da cosa deriva? 

  1. La maggioranza delle conversazioni si basa su esperienze o situazioni negative. Sono poche le conversazioni che danno valore all’essere umano, non ne ricordo una che elogiava una conversazione o un gesto positivo.

  2. I social, la televisione e i giornali parlano quasi unicamente di situazioni negative, sorvolando o mettendo in secondo piano ciò che di positivo si può trovare nel mondo.

  3. I nostri genitori ci hanno insegnato a non parlare con gli sconosciuti (per ovvi e comprensibili motivi di sicurezza), questo pensiero però rimane impresso nel nostro inconscio anche in età adulta.

  4. Le esperienze negative passate rimangono impresse nella nostra mente, il dolore è ancora presente e la paura di rimanere feriti, anche solo da una frase negativa, porta a chiudersi e a non condividere il nostro reale pensiero.

Pensaci un attimo, (1.) quante persone conosci che parlano quasi unicamente delle azioni negative di una singola persona? (2.) I telegiornali affrontano giornalmente azioni negative di pochissime persone se comparate all’intera popolazione. (3.) Qual è la percentuale di persone che metterebbe a rischio un bambino? (4.) Rispetto a tutte le persone che conosci, quante sono le persone che ti hanno ferito?

L’azione di pochi, mette in discussione l’intera umanità. Lo stesso principio del terrorismo. Arriviamo a giudicare nazioni, culture e religioni considerando unicamente l’atteggiamento estremista (forse lo 0.1% della popolazione in questione).

Il nostro cervello processa maggiormente quanto viene percepito come negativo (negativity bias)

Quando succede qualcosa di brutto, lo ricordiamo per anni. Quando succede qualcosa di bello, ce lo dimentichiamo dopo poche ore.

Perché? Perché il nostro cervello è programmato per proteggerci dal pericolo.

  • Ti ricordi l’ultima volta che qualcuno ti ha fatto un brutto commento? Certo.

  • Ti ricordi l’ultimo complimento che hai ricevuto? Probabilmente no.

  • Ti ricordi quando sei stato ferito? Ovviamente sì.

  • Ti ricordi le volte che qualcuno ti ha trattato con gentilezza? Difficile.

  1. L’amigdala è più reattiva agli stimoli negativi

  • L’amigdala, la parte del cervello che gestisce emozioni e minacce, ha una risposta più forte e duratura agli eventi negativi rispetto a quelli positivi.

  • Evolutivamente, riconoscere un pericolo (un predatore, una minaccia) era più cruciale per la sopravvivenza rispetto ad apprezzare un momento positivo.

  1. I ricordi negativi si consolidano più velocemente

  • Il cervello usa più risorse per elaborare esperienze negative e invia segnali più forti all’ippocampo (che gestisce la memoria).

  • Un evento negativo può essere archiviato in pochi secondi, mentre un evento positivo richiede più esposizione e ripetizione per diventare un ricordo duraturo.

  1. La mente si focalizza sui problemi per risolverli

  • Il cervello umano è cablato per il problem-solving. Un evento negativo innesca una ricerca attiva di soluzioni, mentre gli eventi positivi non richiedono la stessa elaborazione cognitiva.

Non giudico, perché siamo programmati così, ma vorrei un’inversione di rotta.

Come? Portando più persone possibili a ridare una possibilità all’umanità, alla condivisione, alla fiducia nel prossimo, al comprendere l’importanza di una domanda in più.

La prossima volta che incontri uno sconosciuto, un tuo amico, un famigliare e percepisci che qualcosa non va, prova a rompere il circolo vizioso dello “small talk”.

“Come stai?”

“Tutto bene grazie, tu?”

“Sicuro che tutto vada bene?”

Forse non porta a niente, ma forse, apre ad una conversazione che esce dalla superficialità, che permette di conoscersi meglio, di aiutare la persona in questione e aiutare noi stessi.

Quando ho chiesto a Speranza come stesse, ho percepito un attimo di esitazione, si è fermata qualche secondo a riflettere, se non avessi fatto una seconda domanda probabilmente non avremmo avuto una conversazione così estremamente interessante.

Non avrei saputo nulla della sua vita, nulla sulle sue idee, sui suoi progetti, le sue difficoltà e i suoi sogni. Non avrei trovato in Speranza una persona che la pensa come me su tantissime cose, non avrei approfondito alcune idee e non avrei avuto un apporto positivo alla mia vita, alla mia crescita.

Avrei ottenuto unicamente superficialità, senza avere la possibilità di scoprire che persona fantastica mi trovavo davanti.

Le persone sono pronte a condividere, devono unicamente percepire un interesse reale. Il problema è che se non ci proviamo, rimarremo convinti della mediocrità del genere umano, perché il positivo rimarrà oscurato dal negativo.

La conversazione del “Come stai?” è un esempio. Ma questo concetto si può applicare a qualsiasi conversazione. Mostra interesse e riceverai interesse. Mostra positività e riceverai positività.

I problemi sono reali, ma siamo sicuri che meritano di danneggiare l’immagine generale delle persone? Del mondo intero? Siamo sicuri di voler dare così tanto valore, alle poche persone che portano negatività nella nostra vita?

La conversazione con Speranza mi ha fatto nuovamente riflettere su una cosa: ci siamo rassegnati a vivere in una società che non comunica più.

Ma io non ci sto: sto sviluppando una piattaforma dove prevale la comprensione, la condivisione e la crescita personale. Voglio creare un luogo sicuro per condividere le proprie paure, incertezze e insoddisfazioni dando la possibilità di trovare supporto in assenza di giudizio, gelosia e competizione.

Se anche tu senti che il mondo sta andando nella direzione sbagliata e vuoi far parte di una community che dà valore alla crescita, scrivimi.

Dimmi cosa vorresti trovare in Smile. Dimmi cosa ti manca nel mondo di oggi. Raccontami cosa vuoi migliorare nella tua vita, le tue difficoltà, le tue paure e vediamo se possiamo costruire insieme un progetto che mira ad aiutare le persone a sentirsi meno sole.

Scrivi una mail a [email protected] condividendo il tuo pensiero :)

Un forte abbraccio e buon proseguimento di settimana ✌🏻

Ricordati di sorridere — Diego

Reply

or to participate.